Transizione sostenibile? Solo con l’equità sociale
Parla Mario Calderini: “Ecco perché il futuro sta nell’economia d’impatto”.
Mario Calderini insegna Management for Sustainability and Impact al Politecnico di Milano ed è direttore di Tiresia, il Centro Ricerche per Impatto, Innovazione, Imprenditorialità e finanza della Scuola di Management dello stesso ateneo. È anche il portavoce di Torino Social Impact, una singolare “alleanza tra imprese e istituzioni pubbliche e private per rendere Torino uno dei migliori posti al mondo per fare impresa e finanza perseguendo intenzionalmente e congiuntamente obiettivi di redditività economica e di impatto sociale”.
Classe 1966, autore di numerose pubblicazioni, Calderini è il massimo esperto di social impact in Italia e ha un interesse particolare – non solo in quanto docente ma perché ci crede sul serio – per le nuove generazioni e quindi per il futuro.
Beewise lo ha incontrato per riflettere su transizione e sostenibilità. A partire da una sua frase: “La transizione sarà sostenibile se permeata di giustizia sociale ed equità nelle opportunità”.
Professor Calderini può spiegare questi concetti?
“Negli ultimi vent’anni abbiamo associato le parole green e ambiente alla sostenibilità. Eravamo convinti che i costi che avremmo dovuto pagare sarebbero stati soprattutto di natura ambientale. Ma ora siamo consapevoli che un’accelerazione è impossibile. Taglierebbe fuori troppe persone, imponendo limitazioni ai consumi e alla mobilità, crollo dell’occupazione – pensiamo in particolare alle grandi industrie pesanti, da quella automobilistica a quella siderurgica – e proteste sociali crescenti”.
Può fare degli esempi?
“Ricordate? Ci furono levate di scudi contro l’obbligo di far pagare i sacchetti di plastica 0,01 euro… E ancora: il monopattino elettrico. È un altro caso utile per ragionare. Fu presentato come il punto di svolta per la mobilità urbana, ma ha causato un’impennata nei costi sociali: per l’aumento di incidenti stradali e perché persone anziane e con difficoltà motorie hanno rinunciato a uscire di casa per timore di essere investite sul marciapiede. Ecco, la transizione e la sostenibilità sono due eliche in movimento: dobbiamo riuscire a farle girare insieme”.
Che ruolo deve avere l’innovazione?
“L’innovazione è ormai sinonimo di sostenibilità e viceversa. Quando un’azienda si trova in situazione di conflitto tra l’introduzione di un nuovo prodotto sul mercato e il rispetto di vincoli di tutela sia ambientale sia di diritti umani, allora il processo innovativo deve per forza essere adattato alla sostenibilità. In passato abbiamo pensato che l’innovazione tecnologica producesse benessere a prescindere”.
Ma non è accaduto così.
“Infatti. E tuttora non accade. Perciò dico che innovazione e tecnologia debbono favorire una sostenibilità inclusiva, cioè che non taglia fuori, che non esclude. Soprattutto senza “dogmi”, cioè regole intoccabili che stabiliscano che tutto avviene spontaneamente e senza correttivi”.
E allora come si può costruire il nostro futuro?
“L’innovazione va governata con un nuovo modello di partnership pubblico-privato, cioè tra istituzioni, imprese e cittadini in cui l’intervento pubblico deve evitare il proliferare di investimenti inutili. Valgano come esempio le app per la delivery: lo Stato deve intervenire promuovendo una cultura dell’innovazione sana”.
Il ruolo della finanza resta fondamentale?
“Certo, anche se molto dipende dall’idea di capitalismo che sta a monte. Nel breve periodo l’innovazione tecnologica comporta costi sociali, per esempio disoccupazione, che nel medio periodo vengono riassorbiti e compensati. Se invece il capitalismo è esoso e non reinveste, non innova e si abbandona alla finanziarizzazione, come è successo negli ultimi anni del secolo scorso e nel primo decennio di questo, il processo si blocca e i costi sociali sono enormi. In questi ultimi cinque anni è emersa una pressione molto forte dal basso verso la sostenibilità finanziaria”.
È questo che voi esperti chiamate social investing?
“Succede quando l’investimento finanziario in economia reale – cioè molto concreta, sui territori – origina economia sociale, cioè positivamente generativa per le persone: perché fa sì che imprese e investitori reinvestano nell’innovazione a impatto e questo genera occupazione, inclusione e benessere”.
Ce la faremo, professor Calderini? Le nuove generazioni potranno modificare lo stato delle cose?
“Le scelte alternative stanno positivamente contaminando la finanza tradizionale. Gli scenari possibili ora sono due: la finanza accetta la sfida rinunciando a parte dei profitti per investire in innovazione, oppure fagocita le spinte per non cambiare nulla. Il greenwashing, cioè solo una ripulitura di facciata ma non di sostanza, è il segno concreto di un pericolo reale”.