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La «circular economy» è una scelta ormai irrinunciabile. Anche per la finanza.

La circular economy: un imperativo per il futuro dell’ambiente e della finanza.

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L’economia circolare è l’unica strada percorribile nel futuro per salvaguardare l’ambiente. C’è un cambio di cultura che sta coinvolgendo sempre di più famiglie e imprese. E che risulta conveniente, alla fine, sia per i risparmiatori sia per il mondo del credito.

Io sono un boomer. Nel senso che sono nato agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, in pieno boom economico. Non significa però al contempo che sono da rottamare. Almeno, credo. Anzi, forse ho avuto la fortuna di osservare molti cambiamenti (in negativo, certo, ma anche in positivo) del nostro modo di vivere quotidiano. Per esempio, quando ero piccolo, non c’era alcuna attenzione – per dire – alla raccolta differenziata dei rifiuti. Nel mio condominio, a ogni piano, esisteva uno sportellino da dove si buttava giù in cortile – in un apposito cassone – vetro, plastica, legno, avanzi di cibo, qualunque cosa.

Adesso è diverso. Pur essendoci ancora molto strada da compiere in termini di sensibilità e attenzioni, l’economia circolare è ormai la strada indicata da tutti per costruire meglio il nostro futuro. Soprattutto per lasciare un pianeta meglio conservato alle generazioni future. Che cos’è? Secondo la definizione dell’Unione Europea «l’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile».

In questo modo viene esteso il ciclo di vita dei prodotti. Tutto il contrario del tradizionale modello economico lineare, fondato invece sulllo schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. Il modello economico tradizionale dipende dalla disponibilità di grandi quantità di materiali e energia facilmente reperibili e a basso prezzo. Il Parlamento europeo ha chiesto già da alcuni anni «l’adozione di misure anche contro l’obsolescenza programmata dei prodotti, strategia propria del modello economico lineare». Pensiamo, per esempio, soprattutto a cellulari ed elettrodomestici.

Proviamo a farci aiutare da qualche video d’impatto, veloce ed essenziale, che ci aiuti a capire meglio. In questa clip della Fondazione McArthur – organizzazione non profit che sostiene da Chicago chi s’impegna seriamente per l’ambiente – ecco una efficace distinzione tra economia circolare ed economia lineare.

La cultura da far crescere

Siamo tuttavia ancora lontani da uno scenario ideale. Per esempio, come ha rivelato la Cop28 (la 28^ Conferenza della Nazioni Uniti sui cambiamenti climatici) dello scorso dicembre a Dubai, la pianificazione nazionale per adattarsi al cambiamento climatico e i progetti sovvenzionati dai fondi multilaterali per il clima stanno aumentando. Ma nei Paesi in via di sviluppo il fabbisogno finanziario per l’adattamento supera da 10 a 18 volte gli attuali flussi finanziari. Per cui è necessario aumentare impegno internazionale e cooperazione.

Pensate: nell’Unione europea si producono ogni anno più di 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti. L’UE sta aggiornando la legislazione sulla gestione dei rifiuti per promuovere la transizione verso un’economia circolare. Già a marzo 2020, Bruxelles aveva presentato, sotto il Green deal europeo e in linea con la proposta per la nuova strategia industriale, il Piano d’azione per una nuova economia circolare che include «proposte sulla progettazione di prodotti più sostenibili, sulla riduzione dei rifiuti e sul dare più potere ai cittadini, come per esempio attraverso il “diritto alla riparazione”».

In questo video vengono illustrati alcuni dati per dare l’idea dei diversi impatti che generano economia circolare ed economia lineare.

In questo TedX, invece, Nadia Lambiase spiega

La finanza

Ci sono poi anche vantaggi competitivi per la finanza, sia per gli operatori sia per i risparmiatori. «L’economia circolare offre al settore finanziario un’importante opportunità per rispettare gli impegni assunti in materia di clima e altri obiettivi ambientali e sociali – spiegano dalla Fondazione McArthur –, attingendo al contempo a fonti di crescita nuovi e migliori e alla creazione di valore a lungo termine». Anche i numeri aiutano a capire: «Quasi la metà delle emissioni che causano il cambiamento climatico deriva dal modo in cui produciamo e utilizziamo i prodotti e gli alimenti. Un’economia circolare – sono sempre gli esperti della McArthur a parlare – ci offre gli strumenti per affrontare insieme il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Può scalare rapidamente tra i settori per creare valore e posti di lavoro, aumentando al contempo la resilienza delle catene di approvvigionamento e offrendo un enorme potenziale di crescita economica, stimato in 1,8 trilioni di euro all’anno nella sola Europa».

Infine, dicono da Chicago, «Le strategie di economia circolare possono ridurre il rischio di investimento e ottenere rendimenti superiori corretti per il rischio.
Un’analisi condotta dall’Università Bocconi su oltre 200 società europee quotate in borsa in 14 settori ha dimostrato che più una società è circolare, minore è il rischio di insolvenza sul debito e più alti sono i rendimenti corretti per il rischio delle sue azioni».

In questo video teaser per il #CircularEconomyShow sull’economia circolare e la finanza, curato dalla Fondazione potete ascoltare alcune interessanti riflessioni di Paul Bodnar, responsabile globale degli investimenti sostenibili di BlackRock, una delle maggiori società di gestione patrimoniale al mondo, e di Davinah Milenge, Principal Program Coordinator per il Dipartimento Cambiamento Climatico e Crescita Verde della Banca Africana di Sviluppo, che condivide ulteriori approfondimenti sull’opportunità di investimento nell’economia circolare nei mercati in via di sviluppo.

Il caso “pneumatici”

Un caso molto concreto può darci l’idea dell’importanza dell’economia circolare. Arriva dall’AIRP, l’Associazione italiana ricostruttori pneumatici. Intorno a Natale ha diffuso una nota per spiegare che «l’industria europea dei pneumatici sta attraversando un momento di crisi particolarmente preoccupante: nelle ultime settimane si sono susseguite notizie riguardanti alcuni dei più grandi produttori al mondo di pneumatici premium, i quali hanno annunciato riduzioni della produzione, chiusura di stabilimenti con relativi esuberi di personale, ridimensionamento delle strutture dirigenziali, cassa integrazione, cessione di marchi. Sarebbero in tutto dieci i siti produttivi in Europa destinati alla chiusura ed alla cassa integrazione».

AIRP – Associazione Italiana Ricostruttori Pneumatici, esprime di fronte a questo scenario grande rammarico ed apprensione per il futuro dell’industria europea. Perché? «Senz’altro – spiegano in una nota – ha influito in modo determinante, almeno per quanto riguarda la produzione di pneumatici per autocarro e autobus, la concorrenza dei prodotti a basso costo, come dichiarano gli stessi produttori coinvolti, sommata alla situazione di inflazione energetica che ha colpito in maniera fortemente asimmetrica gli stabilimenti europei ed asiatici».

La questione, secondo l’AIRP, è chiara: «Il problema dell’industria europea è che deve operare in un contesto di equità, nell’ambito di norme stringenti prima di tutto sul riutilizzo, generando per ogni prodotto un indice scientifico di ricostruibilità ed in generale sull’economia circolare». L’importazione di prodotti in dumping e a basso costo ha determinato un enorme danno dal punto di vista ambientale, facendo prevalere un approccio usa e getta da parte del mercato nei confronti del pneumatico non solo per autocarro ma anche per vettura, trasporto leggero e movimento terra.

In un momento delicato come quello attuale, secondo Guido Gambassi, segretario generale dell’AIRP, «è di fondamentale importanza secondo AIRP che le istituzioni europee intervengano per attuare un’adeguata regolamentazione del mercato nell’ottica dell’economia circolare, che è l’unica soluzione per poter raggiungere tre obiettivi strategici: tutelare l’industria del pneumatico premium e la sua competitività basata sulla durevolezza e sostenibilità del prodotto, preservare e valorizzare l’asset strategico costituito dal know how di decine di migliaia di lavoratori altamente specializzati, difendere l’ambiente nel suo complesso attraverso la promozione di prodotti ad alta efficienza e riutilizzabili».

Francesco Antonioli
Febbraio 2024