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I Modena City Ramblers, band emilianache da sempre usa il “pentagramma ESG”: «L’economia può cambiare musica»

Di futuro, economia e finanza: qualche riflessione con i Modena City Ramblers.

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Nati nel 1991, da sempre attenti ai temi dei diritti, dell’ambiente e della giustizia sociale, raccontano con impegno e disincanto le vicende dell’Italia e del mondo. Il flautista Franco D’Aniello: «Crediamo nei giovani, si può essere fiduciosi sul futuro»

Il pentagramma può essere sostenibile, nel senso d’ispirarsi ai criteri ESG: environment, social e governance. Parola dei Modena City Ramblers (MCR, anzi, meglio: “i Modena”, per gli amici). Le note della band, nata nel 1991, fin dall’inizio hanno nelle corde – e cioè nelle ballate in stile principalmente folk irlandese – i temi dei diritti, della solidarietà sociale, dell’ambiente. Non per una moda passeggera, ma per una convinzione appassionata.

Ritmi intergenerazionali riverberano in un laboratorio del suono, delle melodie e delle parole unico in Italia e che meriterebbe di essere conosciuto molto di più. La miglior descrizione del gruppo l’ha vergata il compianto Ernesto Assante, acuto critico musicale di Repubblica scomparso prematuramente alla fine di febbraio 2024: «I Modena – scriveva nel 2021, in occasione del trentennale – non sono “esattamente” una band, piuttosto un collettivo, un insieme di musicisti che, senza avvertire la necessità di scalare le classifiche o di avere un vero e proprio “frontman”, mantengono salda la rotta della loro musica rinnovandosi costantemente, cambiando musicisti e formazioni, mescolando folk irlandese, rock, punk, musica popolare italiana, canzone d’autore, con l’unica costante necessità di raccontare la vita e la storia, restando immersi nella realtà del nostro Paese».

CAMMINATORI URBANI

Ecco nomi e cognomi dei Modena, intanto. All’inizio sono Alberto Morselli, Giovanni Rubbiani, Alberto Cottica (facevano parte del gruppo “Lontano da dove”), Franco D’Aniello e Luciano Gaetani (provenienti dalla “Abbazia dei folli”), Roberto Zeno, alla batteria. Più avanti si sono uniti ai Modena Massimo Ghiacci e Stefano Bellotti, detto “Cisco”, Luca Giacometti, “Gabibbo”, bassista che purtroppo è mancato nel 2007 a causa di un incidente stradale. E ancora: Davide “Dudu” Morandi, che ha sostituito “Cisco” alla voce nel 2005; Francesco Moneti al violino e Leonardo Sgavetti alla fisarmonica, ancora attuali componenti. La band ha da sempre la porta aperta, quasi un diaframma creativo, con entrate e uscite di nuovi membri che possono arricchire e contaminare l’insieme. L’importante, dicono, è essere ramblers, camminatori urbani e non solo, mixando il DNA emiliano modenese con le sonorità irlandesi. Grazie a loro è stato coniato il termine combat folk, omonimo demotape che hanno autoprodotto nel 1993 ispirandosi all’album Combat Rock dei britannici Clash.

ALLA META SI ARRIVA CANTANDO

Franco D’Aniello, tra i founder della band, è flautista e abile suonatore del tin whistle, ovvero il tin penny whistle, il flauto da un penny – perché alle origini costruito in latta o con materiali semplici – molto popolare in Irlanda, Scozia e Inghilterra. Tonalità diverse, timbri particolari. Prima di diventare musicista professionista, Franco è stato allenatore di calciatori pulcini, appassionato di freccette, ed era uno dei pochi a cui piacesse suonare il flauto dolce alle scuole medie. Ha interpretato, pensate, un soldato nordista flautista nel film Gangs of New York di Martin Scorsese, per cui ha interpretato due brani della colonna sonora. Nel 2019, a Parma, ha suonato con i Jethro Tull, coronando il sogno di ragazzo alle prese con il flauto traverso. E ha stretto rapporti con Ian Anderson, lo scozzese founder nel 1967 del gruppo rock britannico, al punto che nel 2023 il grande flautista e compositore ha partecipato ad alcuni brani dell’album Mediterranea. D’Aniello, subito dopo la pandemia – che aveva bloccato l’attività live molto amata dai Modena – ha firmato un intrigante volume («E alla meta arriviamo cantando. La storia, i viaggi, la musica dei Modena City Ramblers» (La Nave di Teseo, 2021, pp. 272, euro 17) con cui ha preso in mano l’esperienza di questi anni.

È stato un po’ come riannodare i fili. Franco ragiona nel libro: «Fili di una rete che si chiama musica, che lega eventi, persone, mondi, anche di epoche diverse, così come è successo per i Modena City Ramblers in questi trent’anni, per il quale il viaggio non è mai stato fine a sé stesso. Rappresenta un momento importante dal punto di vista artistico e sociale. Come dice il titolo del nostro primo album, lo abbiamo tradotto da un disco di Bob Dylan, Riportando tutto a casa, il viaggio non è il fine ma il mezzo perché la testa si apra totalmente lasciando entrare esperienze, visioni, rumori, suoni, profumi che poi mescolati assieme alle note diventano canzoni, album. Tutto quello che ho visto e sentito in questi trent’anni è ancora vivo nella mente, nel cuore, nella pancia».

I GIOVANI E I TEMI SOCIALI

Alcune canzoni dei Modena hanno significati precisi. Due, in particolare, dell’album ¡Viva la vida, muera la muerte! del 2004 meritano attenzione. La prima è Cento Passi, un omaggio a Peppino Impastato: giornalista e attivista siciliano contro la mafia, si ribellò alla sua famiglia e all’omertà e per questo venne ucciso trentenne da Cosa Nostra a Cinisi, nel Palermitano, il 9 maggio 1978. Il titolo prende spunto dal film del 2000 di Marco Tullio Giordana, «I cento passi» giustappunto», ovvero la distanza che separava la casa di Peppino da quella del boss Gaetano Badalamenti. Il secondo brano è Ebano, la storia di una ragazza africana emigrata in Italia per cercare fortuna, ma costretta come molte sue conterranee alla schiavitù della prostituzione. Si chiama Perla Nera e supplica che ognuno di noi si ricordi della sua storia perché «… lungo il viale verso la sera, ai miei sogni non chiedo più nulla». Con questa canzone, nel 2005, hanno vinto il Premio Amnesty Italia 2005, premio assegnato al brano che meglio affronta il tema dei diritti umani.
«In tanti si ritrovano nel nostro percorso – racconta Franco D’Aniello – specialmente i giovani che vengono ai nostri concerti. Noi abbiamo tra i 50 e i 60 anni, ma ci sentiamo come loro, senza spocchia, senza tirarcela. Prima di suonare stiamo con loro, non ci chiudiamo nei camerini. Parliamo, ragioniamo, spesso nascono rapporti di amicizia. I ragazzi ci vedono un po’ come fratelli maggiori, non come genitori noiosi. Il fatto, poi, che agli eventi live ci sia un buon amalgama di generazioni è ancora più stimolante. Il linguaggio della musica è universale, soprattutto se non usa slogan e luoghi comuni».

FUTURO, ECONOMIA E FINANZA

Dunque, fiduciosi sui ragazzi di oggi? «Sì, assolutamente – riflette ancora Franco D’Aniello –. I giovani, almeno i tanti che incontriamo noi, sono aperti, solari e impegnati. Il problema è che oggi, a motivo dell’invecchiamento della popolazione, sono di meno, cosicché fanno più rumore quelli che si annoiano, non fanno nulla se non perdersi sui social, isolati, assumendo quel linguaggio spesso aggressivo. Noi abbiamo la fortuna di incontrarne tantissimi ai concerti, ovviamente, ma anche nelle scuole dove ci invitano a parlare di vari temi. Questo legame ci impressiona positivamente, ci fa essere più sereni sul futuro, nonostante i tanti problemi che sappiamo. E poi, in qualche modo, è anche il motivo per cui continuiamo a suonare».

Economia e finanza: come le vedete? Può cambiare la musica in questi ambiti? «Perché no? – risponde Franco –. La musica, in generale e quella che suoniamo noi, è importantissima. Forse non modifica il mondo, ma aiuta ad assumere una visione diversa. Noi dei Modena siamo sognatori, ma anche molto pragmatici. Tuttavia, chi dice che non si può far niente, inconsciamente o consciamente vuole tenere le cose come stanno. Noi siamo musicisti artigiani e abbiamo fatto una grande fatica durante la pandemia. Il piano inclinato del mondo non è cambiato: sta aumentando la forbice tra ricchi e poveri del pianeta, con guerre non volute dalla gente comune, una transizione ecologica che non deve significare auto elettriche costosissime. Insomma, questo tipo di società non ci piace, si va verso il sempre peggio se ci si arena sulla retorica. Però se ci s’impegna tutti, possiamo almeno combattere l’indifferenza con cui vengono calpestati i diritti».

PADRE MEDITERRANEO

Ai Modena piace scrivere storie, raccontare emozioni. Come nell’ultimo album del 2023, Mediterranea, dedicato alle vicende del mare e dei migranti, per far vedere come nel buio ci sono tanti che s’impegnano per ridare speranza. Merita leggere e ascoltare «Per quanto si muore», utile in questo tempo di conflitti. Magari per poi andare tutti – giovani e meno giovani – a un prossimo concerto dei MCR per pogare e per emozionarsi agitando le braccia con l’accendino acceso o il cellulare in modalità torcia.

Padre Mediterraneo scalda ancora queste mie ali
fammi salire là dove posso vedere
senza soffrire dell’uomo il dolore
lo posso sentire quel crudele sapor
e forse è la misura per capire l’amore
forse è la misura per capire l’amore

Padre Mediterraneo che mi hai dato il respiro
e i miei passi di uomo, io sono confuso
se voglio il perdono o se di condanna sarà la sentenza
perché da quassù non riesco a capire
cosa si cela nel fondo del cuore dell’uomo
cosa si cela nel fondo del cuore dell’uomo

Padre Mediterraneo se ci illude il tuo vento
fa che la nostra fine rimanga viva nel tempo
che il nome di chi è partito diventi parola e memoria
che il nome di chi se n’è andato diventi memoria
che arrivi almeno la nostra storia
che arrivi almeno la nostra storia
che viva almeno la nostra storia
che viva almeno la nostra storia

Oltre il deserto e le spine, oltre la guerra e la fame
oltre il sentiero che unisce, oltre la strada che un giorno finisce
oltre la pietra rovente, oltre la lingua che mente
oltre la voce che ride, oltre la spada che uccide
oltre questo orizzonte, oltre la vita e la morte

Per quanto si muore noi sempre vivremo
per quanto si muore noi sempre vivremo
per quanto si muore noi sempre vivremo
per quanto si muore noi sempre vivremo

Francesco Antonioli
Maggio 2024